Friday, 18 September 2009

Pony express

La mia borsa è sempre pronta, di fianco al telefono. Perchè quando mi chiami io possa venire di corsa, prima che posso. Resta ferma lì, con la zip chiusa come se trattenesse il respiro, in attesa di essere afferrata da un momento all’altro.

Dalla prima volta che mi hai detto “piegati”. Dalla prima volta che ti ho detto “sì”.

Da quel giorno, nella mia borsa ci sono: il portafogli, le chiavi di casa, della biancheria pulita che non si sa mai, uno spazzolino da denti, due salvaslip, delle salviette umide, 4 preservativi, fazzoletti, un plug con vero crine di cavallo, del lubrificante e un morso da pony in gomma. Me li hai regalati tu, perchè fossi sempre pronta, ogni volta che vuoi, dove vuoi, ogni volta che chiami.

E adesso ho così voglia di te e di essere tua che aspetto per ore di fianco al telefono, immobile, finchè la polvere non disegna la sagoma del mio braccio sul tavolino di legno. Aspetto solo di sentire la tua voce che mi dice: “vieni”. E io arrivo, mi metto giusto la giacca se tira un po’ d’aria. Mi metto giusto un paio di mutandine fresche di bucato, solo per il gusto di toglierle bagnate.

Detto, fatto. E mi trasformo nel destriero da educare a suon di strigliate, frustino e ricompense in zollette di sperma.

Da quel giorno, mi basta sentire quello squillo, acuto e tintinnante come uno scroscio di pioggia, e mi eccito così tanto che il lubrificante diventa superfluo. A dire la verità lo uso solo per prepararmi ancora più in fretta.

Detto, fatto.

Da quel giorno, una volta alla settimana mi trasformo in un quadrupede con il pelo tirato a nudo. Vuoi che vada al trotto? Detto, fatto. Vuoi che vada al passo per farti guardare meglio come i miei capezzoli puntino al terreno e oscillino lentamente come piccoli pendoli di Foucault? Detto, fatto. Vuoi domarmi stringendo il morso e imbrigliarmi nel piacere? Detto, fatto.

Sono tutto quello che vuoi. Tranne quando inizio a scalpitare cercando di ribellarmi ai tuoi ordini, perchè vorrei arrivare subito al punto dove tu mi stai conducendo con gli sguardi e la voce, con lo schiocco di quel frustino che mi marchia il cuore e mi vibra dentro: essere scopata alla cavallina, come una bestia da soma e da sodomia. Perchè sono un animale e non desidero altro. Perchè siamo animali e il pensiero è l’ostacolo che dobbiamo saltare. Perchè siamo animali e ci amiamo solo d’istinto.

L’altro giorno mi hai presa e mi hai detto di farti vedere cosa avevo imparato e che se avessi superato la prova avrei avuto qualcosa di speciale in premio. Ero eccitata, e avevo un po’ paura del tuo giudizio, ma mi piace sentirmi dire che sono brava. Che sono la tua puledra puttana preferita, quella che sproni con più violenza solo perchè sono quella che ami di più. Non si può sottomettere qualcosa che non vuoi avere Tuo.

Ho accettato con un cenno del capo, e ho lasciato che fossi tu a prepararmi. Hai iniziato a spogliarmi, accarezzandomi lentamente, con le tue mani così grandi. “Mettiti a quattro zampe”. Detto, fatto e io ho chiuso gli occhi, sentendo tutti e quattro gli scatti metallici delle manette attaccate alle sbarre che usi per farmi mantenere la posizione. “Stai dritta”. Detto, fatto: braccia e gambe larghe, testa alta, schiena dritta. Sguardo fiero. Hai iniziato a premere con le tue carezze lungo tutta la mia schiena, partendo dalla testa e arrivando oltre il culo, per bagnarti le dita nella mia fica smaniosa e lubrificarlo risalendo in contropelo. Poi hai preso il plug e hai bagnato anche quello nello stesso modo. A quel punto, il lubrificante è stato solo lo zuccherino che aspettavo per sentire la mia coda che si ricongiungeva con il resto del mio corpo. Hai allacciato con calma accurata tutte le mie bardature, il morso e i paraocchi che nascondevano i miei occhi neri di fame. Allora, quando sono stata pronta, mi hai dato un unico bacio, prima di iniziare.

Il primo schiocco mi ha fatto male. E’ arrivato freddo e secco come un foglio di ghiaccio. Sentivo il sangue che accorreva svelto al dolore, arrossando la pelle. Ma gli altri sono arrivati come una benedizione di fuoco bagnato, che mi si scioglieva tra le gambe sentendo che ogni colpo che ricevevo mi rendeva più vicina al mio traguardo, a te. Ma l’attesa sembrava non finire mai. Ti sei allontanato, ma io ho continuato ad andare avanti, con le ginocchia segnate dai fili d’erba del tuo giardino, con i muscoli impazienti e contratti ad aspettare il tuo ritorno.

Quando sei tornato ho sentito il tuo sguardo sulla mia coda, che oscillava ad ogni passo. Sul mio culo strigliato, sulla mia fica nuda e sempre più lucida, sulle mie cosce che si sfregano, ad ogni passo. Mi hai detto “fermati” e mi sono fermata. Ho sentito le fibbie degli stivali che tintinnavano mentre ti avvicinavi e lo strisciare ruvido di un accendino quando ti sei fermato, vicino a me. Hai iniziato ad accarezzarmi la schiena e ti sei abbassato per infilarmi un sussurro nell’orecchio, dicendo che avevi visto quanto mi ero impegnata, dicendomi che brava ero stata, infilandomi una mano tra le gambe, infilandomi la tua mano nella mia bocca. E io sento il mio sapore sulla lingua, il tuo amore nella disciplina di ogni gesto, il mio amore in ogni desiderio assecondato, ubbidito, donato.

Perchè ogni cosa che faccio è un dono per te. Anche soffocare un lamento quando la cenere ardente della tua sigaretta tocca la mia schiena. Una, due, dieci volte. Poi schiacci il mozzicone a terra, vicino alla mia mano, sleghi il morso e inizi a esaminare la bocca: la morbidezza carnosa delle labbra, la reattività della mia lingua, la profondità della mia gola. E io posso finalmente baciare il tuo cazzo, finalmente posso avere il mio zuccherino da succhiare, da far sciogliere di piacere sulla lingua. Mi scopi la bocca lentamente, permettendomi ad essere io a torturanti con i colpi morbidi della mia lingua, obbligandomi a tenerla bene aperta, domandomi con le carezze e con le parole. Mi dici “Brava”. Mi dici “Sei la mia preferita”. Mi dici “ti amo”.

E io sento una lacrima che tu non puoi vedere affiorare con la felicità incredula di un’eletta reginetta.

E io sento ancora una volta che ti allontani da me e per qualche secondo non ti vedo più, prima di capire che sei solo dietro di me. Mi esamini ancora. Tocchi il mio culo a mani larghe per saggiarne consistenza e calore, lo allarghi per guardare ancora una volta la mia pelle chiara, mi rigiri il plug per farmi godere. Mi lasci aspettare ancora, mentre ti sdrai sotto di me, tra le mie gambe a osservare la mia eccitazione, a constatare il risultato del tuo lavoro, mentre accumulo frammenti di orgasmo sottopelle.

Quando mi tocchi per la prima volta sobbalzo e sento le mie gambe, le mie braccia e i miei nervi che iniziano a tremare mentre sfiori con la punta delle dita la spaccatura della mia fica nuda, mentre sento il tuo respiro che le sbatte addosso, poi l’aria fredda della tua distanza quando la apri come un piccolo libro di carni sopra i tuoi occhi, la tua mano che la stringe e il tuo dito che entra. E esce. Lentamente. Bagnato. Lucido. Appena nato.

Appena sento le tue tre dita dentro di me inizio a non trattenere più i gemiti e inizio a muovermi, ad assecondare e a cercare disperatamente tutto il piacere che posso avere, tutta la libertà che posso urlare mentre rubi i miei segreti. E quando sento che sei proprio dietro di me e la tua punta carnosa vicino al mio vuoto, quando sento che si precipita dentro di me, cado anch’io in una vertigine che mi fa girare la testa, formicolare le gambe, annebbiare il pensiero. Sento il plug che mi riempie il culo e tu che mi riempi la vita, sento le tue mani che mi afferrano i fianchi e il tuo cazzo che esplode, sento il mio urlo e la mia carne che gode.

Respiriamo. Sento la tua testa oscillare, appoggiata sulla mia schiena. Sento le nostre vite umide che scorrono lente e soddisfatte lungo una gamba.

La mia borsa è sempre lì, pronta di fianco la telefono.

Sento uno squillo, afferro la borsa e sono già fuori. Sto già venendo.

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